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domenica 19 aprile 2015

Escursioni non per tutti 2: Rifugio Blessent da Cussalma per la gola del rio Fo.

E' venerdì sera quando Franco mi scrive : " domani io e Blin andiamo a fare un'esplorazione in zona Curlo, vieni ?" "Non so se riesco, perchè al mattino presto devo andare a ritirare uno sciame d'api a Caluso" "Guarda, se cambi idea scrivimi. Noi partiremo alle 8,00 da Cussalma". 
Effettivamente mi sarebbe dispiaciuto molto non partecipare ad un'escursione in progetto da tempo, almeno da quando gli amici Franco e Blin mi avevano parlato di aver trovato al Curlo un "sentiero" dal tracciato abbastanza ben evidente che si inoltrava sul fianco sx idrografico del vallone dell'Eugio, ma che avevano rinunciato alla salita per la presenza di ghiaccio e neve, che rendevano il percorso pericoloso. 
Puntina quota 1481.
Incuriosito da quella "scoperta", mi era poi venuto in mente che un esperto conoscitore della zona mi aveva spesso parlato di "una roggia più in alto di quella di Montepiano", "un altro passaggio per andare su",  senza però mai specificare bene come e dove trovare questo passaggio, nè dove conducesse.  Così domenica scorsa ero partito, in solitaria, per andare a fare un giro da quelle parti. Salito da Cussalma al Bric di Scialva  ( itinerario già descritto su Gulliver proprio dall'amico Franco ),  sono quindi andato al Curlo dove quasi subito ho trovato il famoso "sentiero", le cui vistose opere murarie di sostegno non lasciavano dubbi: il sentiero  altro non è che la "roggia più in alto".  La percorro quindi senza indugio, ma arrivato ad un certo punto anch'io decido di rinunciare per via della presenza di neve residua e per il fatto di essere da solo: meglio tornare più avanti ed in compagnia, quindi faccio dietrofront e mi accontento di raggiungere l'assolata e panoramica puntina quota 1481. 
Così ieri mattina sono partito di buon mattino per Caluso, con la segreta speranza di riuscire ad unire l'utile al dilettevole, cioè ritirare le api, posarle e raggiungere Franco e Blin in tempo per la partenza. Arrivato a Caluso, telefono per capire bene il luogo del ritiro e, sorpresa, per via di un disguido non ero stato avvertito che lo sciame non era ancora arrivato. Passato l'iniziale momento di delusione penso: "sono da poco passate le 7,00, posso farcela!", ed immediatamente scrivo a Franco di aspettarmi direttamente a Cussalma.
Franco e Blin al Bric di Scialva
Pronti, partenza, via! Da Cussalma (650 m ) saliamo ad attraversare l'Eugio alla passerella di quota 741 m  ( localmente chiamato "punt pera dla gorge" o "dal gorge") ed imbocchiamo la mulattiera che porta alla borgata Trucca 860 m ca , dalla quale parte il sentiero, inizialmente più evidente per poi scomparire quasi del tutto, che porta al Bric di Scialva 1139 m , localmente chiamato "Basetta" o "Bassetta", per via del profilo arrotondato che mostra osservandolo da Cussalma.
Curlo 1275 m
Dal Bric proseguiamo per tracce di sentiero fino alla borgata Curlo 1275 m, dove ci concediamo una breve pausa per fare uno spuntino in vista del prossimo tratto dell'escursione, che sappiamo essere impegnativo. 
Dal Curlo prendiamo quindi il sentiero - roggia. E' un sentiero, è una roggia? L'esperto Blin dissipa immediatamente i nostri dubbi sulla questione: "le rogge avevano comunque bisogno di manutenzione, per cui è normale che molto spesso ad una roggia di questo tipo fosse affiancato, anche solo a tratti, un sentiero". Proseguendo ci rendiamo conto che le cose stanno esattamente così. Si tratta di un percorso davvero avvincente, con tratti molto esposti e che provoca in noi l'ammirazione per l'ingegno umano, che ha saputo ricavare tra cenge e pareti a strapiombo un sistema di canalizzazione dell'acqua ed un sentiero abbastanza agevole per il passaggio dell'uomo, seppur facendo molta attenzione per via dei tratti esposti e degli strapiombi a cui accennavo poco sopra.
La roggia.
Una piccola scalinata
La roggia costeggia la gola
La gola del rio Fo
Arriviamo così ad affacciarci nella profonda gola incisa dal Rio Fo: da qui si vede chiaramente come la roggia la costeggi con un fedele quanto obbligato semicerchio, fino a raggiungere il rio dal quale evidentemente era alimentata. Osservando l'opera dell'uomo da questo punto, oltre all'ammirazione per l'ingegno umano sorge in noi  il profondo rispetto per l'inimmaginabile fatica che il realizzare tutte quelle opere a secco in un luogo così impervio deve aver comportato per gli abitanti del luogo. Inoltre vediamo subito come, una volta superata la gola del rio Fo, ci aspetti una salita mica da ridere su un pendio ripidissimo e che si presenta parecchio roccioso. Percorrendo in parte la roggia (  poichè in alcuni tratti è franata ) ed in parte il sentiero, la cui traccia rimane comunque sempre piuttosto evidente , arriviamo quindi al rio Fo, che dobbiamo attraversare per proseguire la salita. Prima di continuare la descrizione dell'itinerario è doveroso un pensiero, una dedica ad una persona che conosceva questi luoghi come le sue tasche e proprio in questo tratto del percorso, per una disgrazia, è andato avanti. La nostra escursione la dedichiamo alla sua memoria. Comincia quindi il tratto più duro del percorso: dapprima molto roccioso ed a tratti un po' umido, per cui occorre ancora mantenere la massima concentrazione , poi più facile ma sempre ripidissimo, fino ad incrociare la mulattiera che appena più in basso dell'Alpe Pian del Prete ( localmente chiamata "Fo sut" ) attraversa a mezza costa per raggiungere l'alpe Forcetta, ed in particolare le due costruzioni che si trovano nei pressi del colletto 1469 m dove passa la mulattiera che sale da Barelli passando per  Scialva. Questo tratto di salita, dall'attraversamento del rio Fo al Pian del Prete , si svolge in un ambiente davvero selvaggio ed affascinante ( non che prima non lo fosse altrettanto: ma la presenza della roggia e del sentiero, opere dell'uomo, in qualche modo contribuiva a mitigarlo), tanto che mi viene da pensare come fosse possibile la presenza di un luogo così selvaggio e roccioso ad una quota di appena 1400 m.   Arrivati al "Fo sut", l'escursione diventa più facile e da qui fino al Rifugio Blessent si svolge sulla panoramica dorsale pascoliva culminante con il Monte Arzola.  Dalle alpi  "Fo Sut" saliamo direttamente  prima all'alpe Fo Superiore 1745 m , poi   all'alpe Dreja 1816 m  ( dove troviamo un'ottima fontana con una discreta portata) e quindi da questa cominciamo a salire traversando verso destra in direzione del pian Camusol o Chermisù, dal quale in pochi minuti si raggiungono il rifugio e la statua del Redentore 1965 m , lasciando in alto a sinistra l'alpe Force 1980 m.
Attraversato il Rio Fo, ci aspetta una ripida salita.


Mentre saliamo, la dorsale si trasforma in un grande luna park per camosci: camosci, camosci ovunque, in alto,in basso,  a destra , a sinistra. Io ne ho contati almeno una cinquantina e vi assicuro che è una somma per difetto! In lontananza osserviamo anche la folle corsa di un paio di enormi cinghiali, sopra di noi comincia a volteggiare un'aquila, qua e là spuntano marmotte ed il loro richiamo.  Quasi quasi si potrebbe organizzare in zona un bel safari alpino!
Camosci, camosci

Pian Camusol
Consumato il nostro pranzo presso il rifugio Blessent, cominciamo la discesa, che effettueremo per il sentiero normale, cioè passando per il Bric del Fo e scendendo a Barelli lungo la mulattiera. Tocchiamo così l'alpe La Croce  1803 m, il rudere quota 1690 , lasciamo alla nostra sinistra il  Fo inferiore  1672 m, per poi salire un momento  sul Bric a dare un'occhiata al panorama.  Molto bella è anche la "muraglia cinese", come la chiama Franco, cioè il lungo sistema di muri a secco ed ometti di pietra che delimitano il confine sud della dorsale pascoliva, eretti  per evitare che il bestiame al pascolo si recasse nella sottostante zona ( in cui la morfologia del terreno cambia radicalmente diventando un'alternarsi di cenge e strapiombi) mettendo a rischio la propria incolumità. Tale complesso di costruzioni a secco è inoltre la testimonianza del certosino lavoro di spietramento effettuato dai montanari per guadagnare quanti più metri quadri di superficie pascoliva possibile. Se poi pensiamo che l'opera di spietramento, vista la bassa quota  ( ci troviamo qui sotto i 1800 m ) , è stata necessariamente preceduto dall'abbattimento dei boschi  ( con tanto di sradicamento dei ceppi - e chi ha avuto a che fare con la legna sa che cosa vuol dire in termini di tempo e fatica) e\o dello sradicamento dei cespuglieti e delle formazioni arbustive originariamente presenti, l'osservazione degli effetti dell'abbandono e\o sottoutilizzo di queste superfici non può che lasciarci la triste impressione di un immane lavoro fatto da molti in un remoto passato e che noi stiamo sprecando, disprezzando. 
La "grande muraglia".
Per carità, è un bene che molti appezzamenti più o meno piccoli e posti su terreni impervi e sfavorevoli tornino alla naturale evoluzione, ma vedere superfici pascolive così estese e potenzialmente pingui abbandonate all'invasione arbustiva ed al ritorno del bosco è un vero peccato.   Dall'etimologia dei luoghi e dall'osservazione delle zone circostanti  possiamo immaginare che un tempo fossero presenti boschi di faggio e, più in alto, boschi di larice ed abete rosso. Salutati da un capriolo , arriviamo quindi al colletto di quota 1469 m, ormai nel bosco di faggi, dal quale in pochi minuti andiamo a visitare le due vicine costruzioni facenti verosimilmente parte del complesso dell'alpe Forcetta 1438 m , posta pochi metri più in basso sul versante Orco. 
Mmm.. mi hanno visto. Ciao!
Continuando la discesa nella faggeta, ora su buona mulattiera, e scongiurato l'investimento di Blin da parte di un grande cinghiale che,  lanciato a folle corsa , travolgeva tronchi ed arbusti stile Ferrari con ruspa, arriviamo alla borgata Scialva 1201 m. Blin osserva come questa mulattiera, vista la presenza di così numerosi alpeggi più in alto, dovesse letteralmente brulicare di vita almeno fino agli anni 50 del secolo scorso, essere il luogo di un continuo viavai quotidiano tra chi scendeva a valle a portare burro e formaggio a vendere, chi saliva  tornando all'alpeggio e chi scendeva per fare fieno da qualche parte.  Da Scialva la mulattiera continua a scendere decisamente attraverso il bosco di castagni e roverelle fino  a Barelli 885 m,  da cui per la strada asfaltata scendiamo ancora un poco fino a raggiungere la pista carrozzabile per la Trucca, raggiunta la quale riprendiamo il sentiero del mattino facendo ritorno a Cussalma. E' stata davvero una bella avventura, ricca di soddisfazioni, ma non me la sento di consigliarvela. Parafrasando lo slogan del wrestling dedicato alla sicurezza, "don't try this at home", nel senso che se volete salire all'Arzola da Cussalma o da Barelli, passate dalla mulattiera.Dico questo senza alcuna presunzione ma semplicemente animato dalla consapevolezza che per intraprendere certi percorsi, dove spesso il sentiero è un'opinione, in ambiente impervio dove non si può sbagliare percorso a pena di rimanere bloccati in qualche cengia o canale senza saper più nè salire nè scendere, spesso con qualche passaggio non banale qua e là è necessario avere una notevole dimestichezza con percorsi di questo tipo, conoscere bene il territorio ed essere in compagnia di persone esperte. Ed in questo caso, essendo  in compagnia di Franco e Blin, io sono andato sul sicuro! Arrivederci a presto con le "Storie di Montagna! 

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